Le fondamenta remote dell’azienda ibrida

UFO. Unidentified Future Organizations Le fondamenta remote dell’azienda ibrida

Come approcciare il modello ibrido senza approcci a “a metà strada”, per coniugare il meglio del modello digitale con il meglio del fisico.

La traiettoria del lavoro ibrido sta diventando sempre più chiara. Nonostante i lockdown abbiano presentato una visione del lavoro remoto molto limitata e con difficoltà aggiuntive, la grande maggioranza delle persone è riuscita comunque ad avere un assaggio di cosa il lavoro remoto può significare se realizzato completamente: libera scelta del luogo di lavoro, flessibilità di orari, riduzione o eliminazione del pendolarismo – in generale, l’abilità di scegliere il modo di lavoro più idoneo per noi e avere 1-2 ore in più ogni giorno.

I numeri stanno già confermando questo trend. Nonostante l’incertezza dell’ultimo anno, negli USA il numero di persone che stanno lasciando il posto di lavoro ha raggiunto un massimo storico: 2,7% nell’aprile 2021: 4 milioni di persone. Il motivo anche qui sembra essere lo stesso: lasciare l’azienda che obbliga la presenza in ufficio – a volte anche solo parziale – per trovare quella che garantisce il lavoro remoto. Questo fenomeno è così evidente che ha un nome: the great resignation. Le aziende più evolute sono pronte a ricevere questo influsso di talento: l’offerta di ruoli remoti è infatti salita in solo un anno dal 2% al 10%.

Questo sta risultando in una pressione al cambiamento che, in pochi mesi, ha già generato trasformazioni significative per molte aziende. Google sta cambiando le sue policy interne in quanto ha previsto che solamente il 20% dello staff tornerà in ufficio full time. Per il customer care di HSBC UK solo il 5% tornerà. Facebook dopo aver specificato che il 10% dello staff sarebbe dovuto tornare obbligatoriamente, ha successivamente corretto rotta rendendolo opzionale per tutti. Atlassian ha dichiarato che tutti possono essere remoti a patto che siano in una delle nazioni dove hanno un ufficio. Twitter è passata a essere 100% remota. Persino aziende fortemente a favore dell’ufficio come Apple e Amazon hanno cambiato rotta e definito policy ibride e periodi completamente in remoto.

Al momento l’attenzione sembra focalizzarsi sull’acquisizione del talento, ma per quanto sia un cambiamento strategico significativo, per mantenere una posizione di vantaggio le aziende devono anche effettuare una trasformazione interna e rendere il lavoro remoto non solo possibile ma anche efficace e produttivo – sia da un punto di vista aziendale, che dal punto di vista del benessere del personale.

Remote first

Questo porta ad una domanda chiave: cosa definisce un’azienda ibrida?

Sembrerebbe ovvio pensare che si tratti di un’azienda che ha dei processi a metà strada fra quelli di un’azienda completamente distribuita e quelli di un’azienda completamente basata in un ufficio. Questa prospettiva purtroppo porta le aziende a sprecare tempo, risorse, e sanità mentale per quello che è di fatto un miraggio. Il motivo è semplice: gestire uno staff completamente in ufficio richiede certi processi, formali e informali, certe modalità di lavoro, e certi strumenti. Il lavoro remoto richiede che tutte queste cose siano trasformate per poter essere gestite completamente in digitale. Da un punto di vista di strumenti e processi, è un impegno enorme.

Ma non è l’unico problema: il tentativo di creare un ibrido con due approcci differenti genera una frattura fra ufficio e remoto e numerosi problemi di collaborazione e stress per le persone. Questo viene spesso considerato un problema del lavoro remoto, ma il motivo reale è nel tentare di spingere verso l’ufficio, rendendo incompatibile la parte remota. La tensione fra le persone aumenta, la frustrazione cresce, e vengono generati conflitti facilmente evitabili.

Il rischio a questo punto è che questo approccio “a metà strada” porta a fare fallire il lavoro remoto, conferma alle persone che erano contrarie che “non è possibile per noi”, e quindi ponendo uno stop all’evoluzione aziendale e generando una paura del cambiamento che può bloccare l’evoluzione aziendale per 2-4 anni, perdendo occasioni e talenti.

Un’azienda ibrida ha più spazi fisici da considerare: lo spazio personale e lo spazio dell’ufficio

L’approccio corretto per un’azienda ibrida è quello di pensare e stabilire processi come se fosse un’azienda completamente remota. Questo significa impostare il lavoro senza assumere la presenza di un ufficio e cioè essere remote first.

Un’azienda ibrida remote first, ha quindi due (o più) spazi fisici da tenere in considerazione: lo spazio personale, e lo spazio dell’ufficio. Lo spazio personale rappresenta uno dei benefici maggiori del lavoro remoto: ogni persona ha la possibilità di trovare la propria configurazione ideale. Per qualcuno è andare in un café, per altri è avere una stanza separata a casa con la giusta combinazione ergonomica, per altri è cambiare spesso, e così via. L’azienda deve quindi essere strutturata per supportare questa flessibilità con processi, budget, e policy adeguate. In una azienda remote first, questo spazio è lo spazio primario.

A questo punto però la domanda diventa: quale valore aggiunto può essere fornito al lavoratore remoto in un ufficio? Il futuro di questo spazio quindi si sposta: non più un luogo in cui parcheggiare i nostri corpi per un numero fisso di ore al giorno, ma uno spazio dinamico dove le persone possono scegliere di venire per svariati motivi: una sessione di collaborazione approfondita per risolvere un problema difficile, socializzazione con colleghi e nuovi assunti, classi per aumentare la propria conoscenza, talk con esperti, accesso a strumentazione specializzata, eventi, o semplicemente cambiare ogni tanto lo spazio da cui si lavora e trovare un ambiente tranquillo dove passare la giornata lavorativa. La domanda di quale sia il valore dell’ufficio diventa quindi il secondo livello essenziale di un’azienda ibrida che ha già creato le fondamenta come remote first.

L’ufficio non è più un obbligo, ma diventa un beneficio che si aggiunge allo spazio personale, per fornire un ulteriore livello di flessibilità ai team e alle persone.

Prossimità virtuale significa far sentire vicine le persone, sia dal punto di vista lavorativo, sia sociale

Prossimità virtuale

Se lo spazio fisico diventa personale, e lo spazio dell’ufficio si struttura come un benefit aggiuntivo, l’attenzione delle aziende deve quindi spostarsi su uno spazio virtuale, o per essere più precisi una prossimità virtuale.

La prossimità virtuale è l’idea che in spazi digitali, e quindi in contesti lavorativi distribuiti, deve esserci attenzione da parte dell’organizzazione e dei manager nel fare sentire le persone vicine, sia da un punto di vista lavorativo, che da un punto di vista sociale.

Questa non è di per sé una cosa nuova, semplicemente in un ufficio tutto il lavoro di creazione degli spazi di lavoro, socializzazione, collaborazione ecc. viene fatta da un punto di vista architetturale e di design dello spazio fisico, ancora prima che una singola persona abbia messo piede nell’ufficio. Ci sono decadi di ricerca e pratica che sono state dedicate alla definizione dell’ufficio come lo conosciamo oggi. Quindi è naturale, per chi lavora in un ufficio, dare tutte queste cose per scontate.
Gli spazi digitali? Siamo ancora in uno spazio di frontiera. Certamente ci sono aziende all’avanguardia – io stessa ho lavorato per otto anni in Automattic, e posso confermare come un’azienda completamente distribuita possa essere incredibilmente efficiente – ma sono al momento ancora rari casi. Anche gli strumenti software non sono ancora completamente evoluti per soddisfare le necessità del lavoro remoto e asincrono.

Lo spazio lavorativo va quindi creato grazie a un insieme di policy, processi, e tool. I manager devono quindi imparare, assieme all’organizzazione, come poter creare un ambiente di lavoro remoto efficiente. Uno degli elementi chiave qui è la trasparenza: c’è un motivo per cui gli uffici moderni hanno molte meeting room e favoriscono gli incontri fra le persone. I tool digitali sono purtroppo spesso configurati in modo da essere “locked down”, cosa che crea molti problemi di comunicazione: dover sempre chiedere accesso a un documento, trovare sempre un link che porta a una pagina non accessibile, dove ripetere più e più volte lo stesso messaggio perché l’originale è accessibile solo a un team.
Questo è l’equivalente di lavorare in un ufficio dove ogni persona lavora in una stanza isolata e separata, dover ogni informazione richiede di dover andare in un ufficio, trovare la porta sempre chiusa, e dover trovare la persona giusta per accedere. È assurdo in uno spazio fisico, ma purtroppo è il default per molti tool digitali. Questo va cambiato.

Lo spazio sociale diventa a sua volta una componente essenziale che non può più essere lasciata implicita in ambienti di lavoro remoti. Ci sono ancora purtroppo molti manager che pensano che il lavoro sia solo lavoro, e quindi la loro attenzione va posta solo agli aspetti produttivi. Questo approccio in passato funzionava proprio grazie al fatto che qualcun altro ha creato gli spazi fisici di socializzazione implicita. Nel digitale, il manager deve prendere iniziativa in modo esplicito: come posso far connettere le persone nel mio team? Come posso creare un rapporto di fiducia? Come posso fare emergere aspetti delle persone?

Ritornando all’astrazione, questo è l’equivalente del chiedersi quale sia il momento di break di un team che precedentemente andava a prendere un caffè assieme, o che usciva a pranzo assieme, e così via. Questi momenti magari precedentemente sottovalutati sono essenziali, e sostituirli diventa una delle priorità di una organizzazione remote first – sia a livello globale, che a livello di team individuali.

La combinazione degli spazi lavorativi virtuali e gli spazi sociali virtuali diventa quindi la chiave per creare un ambiente di lavoro produttivo, sano e umano. Un’azienda che è in grado di assumere persone remote, che è remote first, e che crea il giusto livello di prossimità virtuale, avrà posto tutte le fondamenta necessarie per ottenere i migliori talenti e quindi avere, oggi, un grosso vantaggio competitivo sul mercato.