Il futuro è relazione, ma l’innovazione è un'isola

Future Il futuro è relazione, ma l’innovazione è un'isola

Thomas Bialas spiega il sottile gioco di equilibrio tra la rete e il singolo e il perché l’innovazione richieda isolamento.

sintesi

L’innovazione è isolamento. Ma come, non doveva essere tutto open innovation, cross innovation, crowd innovation, connected innovation, eccetera eccetera? Sì, ma con riserva. Dipende cosa si cerca, cosa si trova e cosa si intende per networking (rete, lavoro, connessione e relazione). “Eureka”, ho trovato, gridò Archimede quando, entrando in una vasca da bagno e notando che il livello dell’acqua era salito, capì che il volume di acqua spostata doveva essere uguale al volume della parte del suo corpo immersa. La relazione è con l’acqua. “Ahi”, ho trovato, esclamò Newton quando, seduto sotto un melo e notando che la mela era proprio atterrata sulla sua testa, capì la legge della gravitazione e al perché la luna non cadesse sulla terra. La relazione è con la mela. Potrei andare avanti all’infinito con simili esempi, ma non è questo il punto. Il punto è che potreste dire “sì, ma queste sono storie del passato”. Non proprio. Marco Astorri, l’imprenditore che con la sua creatura Bio sta per rivoluzionare il mondo della plastica a livello planetario (lo affianco dal 2008 in alcuni passaggi e quindi so di cosa parlo) ha passato con il suo socio un anno (era il 2006) davanti al computer a cercare spunti, idee, piste e brevetti per ripensare la plastica. La relazione è con la rete, non in orizzontale superficialità ma in verticale profondità e solitudine (dicasi isolamento). Quindi? È un sottile gioco di equilibrio. Bisogna conoscere e dominare ogni connessione ma anche sapersi rifugiare nella sconnessione. L’azione richiede connessione (quindi relazione) mentre la concentrazione richiede sconnessione (quindi isolamento). O meglio: idee e contenuti richiedono silenzio e contemplazione, la diffusione richiede invece la moltiplicazione e proliferazione del mondo digitale. Il futuro è relazione. Sì ma quale? Relazione normale, neurale, artificiale o magari simbiotica? Partiamo dall’ultima. A osservare bene fenomeni come Airbnb o Uber ci si rende conto che siamo di fronte a delle reti di affinità parassitaria e di stretta dipendenza. Non suona bene, lo so, ma da un’idea di come nascono alcune community o reti di business: come contaminazione di relazioni. Airbnb sta generando (ma sarebbe più corretto dire che molti vanno a rimorchio di Airbnb) un ecosistema di nuovi fornitori e servizi accessori che costituiscono una nuova rete di scopo. Uber invece sta generando una rete di nuovi businees di affinità. Interi settori stanno per essere “uberizzati” con la formula e business model di Uber. Diventeranno tutti amici e community come per la sharing economy? È presto per dirlo. Altre reti. Cosa abbiamo in comune con le macchine? Niente se sono stupide, molto se sono intelligenti. Intelligenza Artificiale. Computer cognitivi, smart robots, connected reality e uomini (sì non rimangono esclusi) collegati da reti intelligenti, sono a detta di molti “the next big thing”. I nuovi assistenti digitali e virtuali dotati di intelligenza artificiale sono praticamente già realtà come i computer capaci di intendere, volere e dialogare con noi. Va da sé che se vogliano parlare di ne(x)t working dobbiamo parlare di community dove la macchina non è più un semplice abilitatore, ma frequentatore che interagisce alla pari con gli uomini della comunity. E infine abbiamo brainternet o relazione neurale e mentale. Penso dunque sono connesso e in relazione con gli altri. Una community di soli pensieri, telepatica. “Fantaeccessivo”? Ni. La ricerca ostinata di brain computer interface promette il controllo mentale di gadget tecnologici e anche come punto d’arrivo il postare pensieri e immagini direttamente nel cervello dell’altro. Da Facebook a Brainbook. Insomma vera simbiosi tra uomo e macchina. Sentire dentro di sé il computer o la rete. Non come allucinazione ma come possibilità. Vediamo che relazioni verranno fuori.

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