Quali competenze cerca il futuro? Nessuna in particolare, se ci pensi bene

Future Quali competenze cerca il futuro? Nessuna in particolare, se ci pensi bene

Sette spunti per rimettere al centro “l’arte di pensare”. Perché, tra l'apologia delle macchine super-intelligenti e lo spettro della mancanza di skill, si trascura una componente essenziale: ciò che
ci rende umani

  • Dal "pensare esplosivo" fino al "pensare bello", è importante osservare, analizzare criticamente, essere visionari
  • Con la fine della conoscenza standardizzata, pensare è diventato una merce rara, un'arte

Un giorno nel futuro è mancato all’affetto dei suoi cari colleghi il manager competente, bravo, ma senza mente.

Vittima come tanti altri della ferocia di Kill Skill. Competenze imbrattate di sangue? Non esageriamo ma forse, dopo un secolo di mode manageriali, siamo alla resa dei conti. Ora conta (di nuovo) saper pensare e non solo saper agire applicando metodologie imparate a memoria. Anche perché le nuove macchine (autoelettesi “intelligenti”) parlano chiaro: “le cose così stupide che hai imparato a memoria come una macchinetta le so, io, vera macchina, fare molto meglio e molto più velocemente di te”. Giusto così. Fra l’originale, la macchina, e la copia, l’uomo macchina, meglio la prima. Perché infatti scegliere merce contraffatta? E veniamo al punto. È vero che in molti ambiti c’è carenza di abilità (skill shortage) ma anche tanta carenza di “cervello”. Per dire: tanti si preoccupano di rendere la tecnologia più sofisticata, pochi di rendere gli umani più intelligenti. Tempo di rimediare, con alcuni spunti o meglio pensieri.

Pensa domani. O meglio al futuro: come si sviluppano nelle persone le competenze per risolvere i problemi in modo auto-organizzato e creativo? E come si preparano le persone a lavori e tecnologie che ancora non esistono? La verità è che dopo la società post-industriale siamo già quasi pronti per quella post scolastica-universitaria: un luogo dove scuole e università cessano di rappresentare il cuore formativo della nostra civiltà. Un luogo dove la formazione si basa sul principio del just-in-case learning: mi approprio di tool per un bisogno imminente. Anche perché nell’era digitale le nozioni e le informazioni sono reperibili, democraticamente, ovunque. Quello che conta e serve è il linguaggio osservazionale, l’analisi critica, il pensiero visionario, insomma, l’arte di pensare. La fine della conoscenza centralizzata (e standardizzata) segna l’inizio della conoscenza decentralizzata (e individualizzata) basata sull’autoapprendimento e su ecosistemi di scambio in rete con apprendimenti non lineari ma mutevoli, fluidi e tesi al continuo cambiamento. In un mondo del lavoro privato del lavoro rimane solo il mondo, il quale ha bisogno di gente capace di concepirlo. Di che gente abbiamo bisogno? Di autodidatti. Scordatevi la vecchia connotazione limitativa “più di così non può fare, poverino: è solo un autodidatta”. Ora vale il “può fare più di così perché è un autodidatta”. Non abbiamo più bisogno di una fornitura di conoscenze per diventare esecutori, ma di abilità per diventare creatori. Perché domani l’apprendimento è un processo di auto-appropriazione.

Quello che conta e serve è il linguaggio osservazionale, l'analisi critica, il pensiero visionario, insomma, l'arte di pensare

Pensa esplosivo. E non solo positivo. Cos’è che accende la miccia? L’intuizione, mica la meccanizzazione (del pensiero). La conoscenza diretta e immediata non è ovviamente da contrapporre alla conoscenza logica, ma semmai è da integrare. L’ideologia di massa con i suoi credo quasi religiosi di uguaglianza non vede di buon occhio questa qualità, neppure i guru dell’intelligenza artificiale che minimizzano le doti della nostra mente, inconscio e spirito. Tutto ciò che non si può misurare e replicare non esiste. Ma questo non è affatto logico. Siamo in piena guerra culturale. Legioni di pr, markettari, giornalisti e pseudo-scienziati stanno cercando di convincere l’umanità della loro inadeguatezza rispetto alle macchine super-intelligenti. Queste bugie in etichetta rispecchiano la solita vecchia megalomania della società industriale: bigger is better e more is more. Sciocchezze che spesso confondono la forma con la sostanza (ma nessuno sano di mente giudicherebbe intelligente una biblioteca solo perché contiene tanti libri con tanti bei contenuti intelligenti). L’economia della conoscenza ha bisogno del primato delle conoscenze umane. Le persone pensano, le macchine no. Fine del discorso, o per dirla con il pittore francese Francis Picabia: “La nostra testa è rotonda per permettere ai pensieri di cambiare direzione”, intendendo l’anarchia di ogni intuizione. Fate quadrare i conti ma non i pensieri, anzi lasciate libero sfogo al flusso così ben descritto dallo psicologo Mihály Csíkszentmihályi oppure improvvisate come i free jazzer (mixando competenze e intuizione). Mettetevi di nuovo al centro di ogni decisione (come atto di spontanea volontà). E ricordatevi, come ci ricorda uno studio di Gerd Gigerenzer, che alla fine “il 50% delle decisioni importanti delle società quotate in borsa vengono prese in modo intuitivo”.

Pensa circolare. Fisica quantistica, fumetti pornografici, psicologia della Gestalt, romanzi rosa, musica dodecafonica, film splatter, La vita, istruzioni per l’uso (Georges Perec), Il tostapane, istruzioni per l’uso (Philips), teoria delle onde gravitazionali, teoria del complotto sulle scie chimiche, struttura del genoma umano, ingredienti dei tacos, il Vecchio Testamento, Fantozzi in paradiso, il meglio delle tragedie greche, il peggio di Lino Banfi, Le Confessioni di Sant’Agostino, le confezioni di Pavesini, pianificazione e controllo, panificazione e lievitazione... Nutritevi di tutto e del contrario di tutto senza nessun metodo, anzi contro il metodo come insegnava Paul K. Feyerabend. Fatta l’indigestione di contenuti è tempo di dormire e sognare per ben metabolizzare e al risveglio sintetizzare. Il processo cognitivo circolare è molto semplice: aggiornare > sognare > installare o meglio re-installare la sintesi. 

Pensa pancia. Qualche vantaggio a essere tedeschi c’è, ok anche qualche svantaggio, avendo sul groppone (e pancione) Hitler e i crauti. Ecco, pensare (e lavorare) con la pancia. In tedesco il Bauchgefühl (istinto di pancia) è preso molto sul serio nelle decisioni. Potremmo anche chiamarla intelligenza inconsapevole, contrapposta a quella consapevole. Lavorare significa anche decidere e, secondo una vasta corrente delle scienze cognitive (vedi Herbert Simon o Heinz von Foerster), vale il principio che gli approcci analitico-logici (anche supportati da macchine) sono ottimi per decisioni semplici, ma pessimi per quelle complesse. Ci salverà la pancia, poiché l’intuizione batte nettamente l’automazione (soprattutto quando si tratta d’innovare radicalmente o imporre il proprio carisma). 

Ci salverà la pancia, poiché l'intuizione batte nettamente l'automazione

Pensa critico.  Il lavoro oggi è solo concettuale, relazionale ed emozionale. Il resto lo fanno e faranno le macchine. O meglio siamo “limitati” a pensare, pianificare, decidere, controllare e produrre senso mentre al resto ci pensano (penseranno) i “sistemi”. Questo è giusto e corretto. Ma allora dobbiamo chiederci perché mai dovremmo imparare (ancora) a fare cose che le macchine già stanno facendo meglio oggi? Non bisogna forse imparare a comprendere consapevolmente e criticamente i cambiamenti in atto per dare un indirizzo voluto e non subito? Di concepire creativamente le conseguenze della tecnologia? Di dare una forma (Gestalt) alle cose? Di abbandonare la retorica degli esperti che in tedesco, in modo sublime, vengono anche chiamati Fachidioten (idioti in materia) che sanno sempre più cose di meno cose?

Pensa discutibile. Mettere in discussione gli indiscutibili dogmi che paralizzano l’impresa è giusta pratica del manager innovatore. Lo sappiamo: in tutti i settori ci sono regole ferree finché non arriva qualche eretico che le rompe. Alcuni esempi storici di “spacca dogmi”: il toyotismo di Kiichirō Toyoda ha rotto il dogma fordista (taylorismo) “i lavoratori sono esseri con due braccia che casualmente hanno anche una testa”, includendo ogni lavoratore in processi innovativi e qualitativi; Anita Roddick (fondatrice di The Body Shop) ha rotto il dogma dell’industria cosmetica “i cosmetici devono essere testati sugli animali”, facendone a meno e diventando pioniera della sostenibilità cosmetica; Larry Page e Sergey Brin hanno rotto il dogma classico dei media “le informazioni costano denaro”, creando con Google un modello gratuito basato sullo scambio di informazioni (e dati); Aldi, e i discounter in generale, hanno rotto il dogma “i supermercati devono offrire un grande assortimento”, riducendo drasticamente spazi e numero di prodotti; le compagnie aeree low cost hanno rotto il dogma “volare è costoso e lussuoso”, ribaltando l’intero settore del turismo.

Non bisogna forse imparare a comprendere consapevolmente e criticamente i cambiamenti in atto per dare un indirizzo voluto e non subito?

Pensa bello. La prima volta che vidi il Cirque du Soleil pensai, “frassicamente”, tra me e me “non è bello ciò che è bello, ma che bello che bello che bello”. Grande bellezza, tutto qui. Un tempo le Lancia (tipo Aurelia B24S Spider del film Il Sorpasso) e le Alfa Romeo (tipo Duetto del film Il Laureato) facevano innamorare gli automobilisti. Un tempo le fabbriche della vecchia Olivetti (tipo Pozzuoli) facevano innamorare gli operai (aumentando la produttività). Non so se la bellezza salverà il mondo (come voleva Dostoevskij), ma potrebbe salvare molte imprese (come vorrebbero un po’ tutti i manager). La bellezza è stata sacrificata in nome dell’efficienza e della redditività. Eppure: i prodotti della Apple sono belli, quelli della Microsoft brutti (politicamente scorretto, ma esteticamente corretto). Prodotti e servizi che incarnano la sezione aurea o proporzione divina. È assai semplice: la bellezza appaga l’anima e dunque ogni cliente e il “Bello Manager” lavora su questo.