Beta version: dai bit agli atomi?

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È tempo di “do or die” per tutti. Se prima il concetto di “Beta Version permanente” valeva solo in ambito digitale, ora l’esigenza si sposta anche all’industria dei prodotti fisici. Quali rischi? Quali opportunità? Scopriamo di più in questo post sulla “B di Beta”.

Wikipedia definisce Beta “una versione di un software non definitiva, ma già testata dagli esperti, che viene messa a disposizione di un numero maggiore di utenti, confidandoproprio nelle loro azioni imprevedibili che potrebbero portare alla luce nuovi bug o incompatibilità del software stesso”.

Questa definizione, inizialmente legata al mondo dell’informatica, ha assunto nel tempo una connotazione più ampia ed oggi può riferirsi a qualsiasi fronte progettuale, dal più fisico al più virtuale. L’impresa collaborativa può operare ‘in beta version permanente’,come un software open source, e prevedere che i consumatori/utenti dei propri prodotti/servizi siano co-sviluppatori di un progetto resiliente, cioè con un’adattabilità e una flessibilità tali da poter sperimentare nuovi comportamenti nel momento in cui si comprende che i precedenti non funzionano.

Questa tensione al cambiamento costante come unico elemento ricorrente è un fenomeno che sperimentiamo in realtà ogni giorno della nostra vita, sia in ambito professionale che privato, come sottolinea nel Quaderno #1 di Making Weconomy Emil Abirascid, giornalista e Direttore di Innov’azione. Sia che operiamo all’interno di grandi organizzazioni, sia che lavoriamo autonomamente, dobbiamo porci nell’ottica che il cambiamento è diventato ormai l’unica costante e che, per affrontare le nuove sfide di un presente che è già futuro, dobbiamo considerare prima di tutto noi stessi come dei work-in-progress, investendo quotidianamente nei nostri progetti con spirito di adattabilitàflessibilità.

Il libro “The startup of you” a cura dell’imprenditore della Silicon Valley Ben Casnocha e del co-fondatore di LinkedIn Reid Hoffman – ben introdotto dalla presentazione qui di seguito – fa proprio riferimento all’atteggiamento resiliente che ognuno di noi dovrebbe assumere, prima ancora di poter operare in contesti ed ecosistemi ormai sottoposti a continua riconfigurazione perché, come sostiene anche il Premio Nobel Muhammad Yunus, “All Human Beings are Entrepreneurs”:

E, d’altra parte, già Bob Dylan nella sua ‘The times they are a-changin‘ del lontano 1964 raccontava di una condizione umana sottoposta al continuo mutamento:
Radunatevi gente, ovunque vagate, e ammettete che le acque intorno a voi sono salite, e accettate che presto sarete inzuppati fino all’osso. Se per voi il tempo ha qualche valore, allora è tempo di cominciare a nuotare o affondare come pietre, perché i tempi stanno cambiando.
Riportando questa condizione al piano economico, si parla quindi di Business Transformation come di un fattore sempre più imprescindibile per restare a galla, cogliere i segnali e reagire di conseguenza.
Se i concetti di alfa e beta testing strutturati (rispettivamente: il test interno di verifica delle caratteristiche del prodotto prima dell’annuncio pubblico, e il test da parte degli utenti prima di andare in produzione) hanno le proprie origini in IBM, Google si è affermata come la prima azienda a rilasciare pubblicamente e sistematicamente servizi in versione beta e a permettere così ad una ristretta cerchia di utilizzatori di sperimentare i propri prodotti (per esempio Gmail) per uno sviluppo e miglioramento costanti nei mesi ed anni successivi.
Ma ora anche un significativo settore della cosiddetta “old economy” si sta riprogettando in un’ottica di “beta permanente”.
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Se già nel 2009 Businessweek anticipava il noto volume di Jeff Jarvis ‘What Would Google do?’ sui meccanismi della Reverse-Engineering mutuabili dall’industria dei bit (come nel caso di Google) all’industria degli atomi come la ‘vecchia’ Detroit, simbolo dell’industria automobilistica statunitense, questo recente approfondimento a cura del magazine settoriale USA Motortrend racconta come note aziende dell’automotive si stiano ripensando in varie forme in un’ottica di beta permanente: dalle più storiche General Motors, Ford, BMW, Honda alle più recenti Fisker e Tesla. Sappiamo che l’automotive è uno dei settori industriali più importanti a livello mondiale quanto a ricavi: nel decennio ’95-’05 è stato caratterizzato da un tasso di crescita del 30%  ed ha generato 60 milioni di posti di lavoro prima della forte crisi che lo ha colpito nel 2008.
Molte aziende del settore si stanno così rendendo conto che, per poter ripartire, oltre ad investimenti in R&D per le auto ecologiche, in questo, come in altri ambiti del manifatturiero, la produzione necessita di ‘rilasci beta’ da sottoporre agli utilizzatori (remunerati o non) perché solo in questo modo si raccolgono dati, informazioni (e fallimenti!) importanti che permettono poi la massimizzazione della user experience (eccoun esempio di feedback video da parte di un ‘tester’ di un nuovo modello Fisker).
 
Tesla, azienda automobilistica che nasce nel 2003 in California da un’idea del co-fondatore di PayPal Elon Musk e che prende il nome dal noto scienziato “borderline” Nikola Teslaproduce auto elettriche orientate al mercato di massa e nel 2012 viene inserita al dodicesimo posto dell’annuale classifica di Fastcompany delle aziende più innovative per “Aver dato una spinta a design e tecnologia delle macchine elettriche”. La stessa Fastcompany la definisce in questo articolo non come un semplice produttore di auto elettriche, bensì come “probabilmente il test più importante ed estremo della storia moderna sul modello di innovazione della Silicon Valley”E questa testimonianza della giornalista Lindsey Kratochwill ne racconta un aspetto:
“Al piano di sotto dell’ufficio di Musk c’è lo spazio 24M un cavernoso ed alto garage con il soffitto illuminato da luci fluorescenti, dove vengono valutati i nuovi prototipi. Durante la mia visita di gennaio ho notato che la maggior parte degli spazi era occupata da diverse decine di esemplari di Modello S “beta” in pre-produzione tutte verniciate di nero e numerate. Ogni esemplare beta è destinato ad un diverso tipo di test e raccolta dati – sui freni, sospensioni, rumore e vibrazioni, resistenza agli urti, e così via.”
Informazioni e dati vengono forniti dagli stessi prospect come racconta ad esempio questocomunicato stampa aziendale uscito in occasione di un evento di presentazione deiprototipi del Model S Beta (guarda i video di un altro evento organizzato in California); per chi invece ha già acquistato il nuovo modello c’è il forum ufficiale Tesla Motors Clubattraverso cui i già proprietari del Modello S comunicano informazioni all’azienda “non come semplici driver ma veri e propri tester che partecipano alla prima beta pubblica del mondo su quattro ruote.
E se il rilancio del manifatturiero italiano passasse per ‘esperimenti Beta’?