La collaborazione? È local… community

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Dalle comunità fisiche di prossimità a quelle delocalizzate e catalizzate dalla tecnologia: approfondiamo il concetto di Local Community con tre casi che esplorano la dimensione reale, quella tecnologica attiva e quella trasparente.

150 è il “limite cognitivo teorico che concerne il numero di persone con cui un individuo è in grado di mantenere relazioni sociali stabili, ossia relazioni nelle quali un individuo conosce l’identità di ciascuna persona e come queste persone si relazionano con ognuna delle altre”. Questo numero è anche detto numero di Dunbar (dal nome dell’antropologo che lo ha definito).
Le comunità delle quali facciamo parte noi ora non hanno più i numeri delle tribù di raccoglitori-cacciatori del pleistocene. Le aree metropolitane più popolose raggiungono i 37 milioni di abitanti, alla luce di questo, se ci pensate, 150 amici su Facebook tutto sommato non sono neanche tanti…

Eppure nell’enormità di queste comunità contemporanee, come abbiamo visto nel nostro quaderno #6 sul Local, si creano dei centri gravitazionali, reali o tecnologicamente mediati, che generano gruppi che in qualche modo sviluppano al loro interno delle dinamiche collaborative virtuose ad alimentare il sistema.
Nella sfera del reale, quella dove persone appartenenti a una stessa area geografica si conoscono e collaborano fisicamente assieme per generare valore positivo per la comunità, rientra sicuramente la Gelateria Naturale di San Salvario a Torino (nella foto).
Una gelateria di quartiere che ha come investitori – pensate un po’ – gli abitanti del quartiere stesso che, oltre a ricevere agevolazioni e utili dal negozio, partecipano attivamente agli eventi e alle decisioni da prendere. In questo modo i sostenitori entrano a far parte dell’impresa stessa e ne diventano promotori, instaurando un circolo virtuoso dove chi usufruisce dei benefici del servizio è in qualche modo anche il promotore dello stesso.

Dal reale al tecnologico. Nell’universo Local Community è anche WikiLocal, un aggregatore di informazioni su diversi quartieri di tutto il mondo curato unicamente dal ‘basso’. I contributors possono gestire le pagine di ciascun luogo aggiungendo informazioni utili che spaziano dalla City Life ai Community Issues e Health e Education. In questo caso, individui che non si conoscono fisicamente possono contribuire contemporaneamente allo sviluppo della comunità locale grazie a piattaforme digitali comunitarie e collaborative e aiutare chi viene da fuori a capirne di più sul quartiere stesso e sulle sue peculiarità.

Contribuire alla propria comunità non significa però solo partecipazione attiva e ‘consapevole’. Scaricando l’app Street Bump e attivandola mentre si guida si può supportare il miglioramento delle strade del proprio quartiere. Street Bump è infatti unprogetto crowd-sourced che colleziona dati sulle condizioni della strada e li fornisce alle istituzioni locali per interventi immediati o per pianificare investimenti a lungo termine.
In qualche modo oggi non conta più quindi quante persone si conoscono in una determinata comunità o se si conoscono affatto. Nell’ampio spettro delle Local Communities si possono trovare realtà diverse che riescono a creare benefici per la comunità attraverso dinamiche più o meno personali ma sempre collaborative.

Se non conta più conoscersi, ha quindi senso fare a gara per chi ha più amici su Facebook? Io rientro nel Numero di Dunbar.

Giorgio De Marco
Twitter @giorgio_demarco