A cosa serve un'icona di plastica?

Design A cosa serve un'icona di plastica?

La User Experience generazionale di oggi. Processi di semplificazione e inviti all'azione.

sintesi

Ogni servizio digitale è fatto di UX. Modalità di fruizione e device influenzano il nostro giudizio sulla qualità della user experience. E il fattore generazionale? Esiste una “UX generazionale” perché di generazione in generazione cambiano i significati che le persone attribuiscono ai simboli. L’icona “salva” riprende l’immagine di un floppy disk. Date un floppy a un nativo digitale: vi chiederà perché avete stampato in 3d un’icona. I codici servono a interpretare il nostro rapporto con il mondo. Ma se cambiano così radicalmente di significato, si può sviluppare una UX inter-generazionale? Se ben progettata, sì. Per capire come, è bene trovare qualche indizio di quel rapporto con il mondo e l’informazione che segna le diverse generazioni. Quella “analogica” è cresciuta con computer che occupavano stanze intere per restituire schede forate come risultato. La generazione “digitale” ha messo mano ai primi computer per famiglie, ha imparato a utilizzare listati di programmazione sul Commodore 64 e i primi comandi in DOS nei 286. Per la Gen Z, quella dei nativi digitali, lo smartphone è uno strumento per conoscere il mondo, lo slidare un atto fondamentale di quella conoscenza. Ogni generazione è attraversata poi dagli “analfabeti digitali”, sempre meno, ma che pongono sfide e vincoli progettuali di cui è necessario tenere conto. Una UX funzionale e inter- generazionale deve superare queste particolarità e ambire a intercettare intuito e immaginazione come facoltà conoscitive tipiche dell’essere umano. In questo tentativo di “semplificazione” le sorprese non mancano. Gen Z e “nativi analogici” hanno molto in comune. Anche se per motivi diversi, entrambe cercano interfacce facili, contenuti evidenti e un’architettura dell’informazione piuttosto superficiale che incontri la loro abitudine alla navigazione orizzontale. Sono generazioni non abituate alla ricerca del contenuto e più inclini a credere in ciò che appare immediatamente, senza grande senso critico. Sono le generazioni più vulnerabili alle “bufale” perché non abituate ad andare in profondità nella ricerca della “fonte”. Almeno non sul web. Forse anche per la difficoltà di utilizzo dei primi motori di ricerca, o per l’abitudine a cercare dentro la profondità dei comandi del DOS, la generazione digitale di prima ondata è più motivata nella ricerca degli argomenti di interesse. Questa generazione è il target di riferimento più semplice, che ha vissuto metodi di navigazione diversi e difficilmente omologati. Il processo di semplificazione è l’unica strada per superare queste differenze. Google ha raccolto ed elaborato milioni di dati per creare la sua funzione “magica”. Ora si può scrivere una domanda in forma discorsiva. All’inizio era necessario conoscere un po’ di linguaggio di programmazione; ogni parola doveva essere collegata con un & o con un +. Le prime UX imponevano la lettura per un’interazione corretta. Ora è tutto codificato da icone, immagini o comandi vocali. I nostri device cercano la stessa evoluzione discorsiva e “umana” raggiunta dai motori di ricerca. Compito della UX è sempre spingere all’azione, provocare una decisione, ottenere l’ingaggio. Una condizione che si verifica quando motivazione e semplicità si trovano al giusto equilibrio. Secondo il Fogg Behavior Model, teorizzato dal Dr. BJ Fogg, maggiore è la motivazione, meno dovremo stare attenti alla difficoltà richiesta nel raggiungere l’informazione, e viceversa. Un concetto che aiuta nella progettazione UX e dell’architettura dell’informazione. La semplificazione guida ogni interazione: comandi vocali, video, video senza audio (fusione tra testo e immagini). Ma fare in modo che questa semplicità sia anche significativa è il lavoro più difficile. La UX, come le altre interazioni con il mondo, è significativa solo rispetto al contesto in cui avviene. Il contenuto e la sua esperienza si fondono in momenti sempre più microscopici che hanno senso solo perchè collegati tra loro. Le interfacce cambiano il nostro modo di avvicinarci ai contenuti, ma sono anche figlie di abitudini consolidate e cultura condivisa. Come per l’icona del salva: ormai pochi ne conoscono l'origine, ma tutti la usano.