Super-Empowered Hopeful Individuals

Innovation Super-Empowered Hopeful Individuals

Chi sono i nuovi clienti nell'era della gamificazione?

sintesi

3 miliardi di ore alla settimana: questo è il tempo che passiamo giocando online. Per mettere questo numero in prospettiva, basta pensare che secondo una ricerca di Clay Shirky – l’autore di “Here Comes Everybody” – il numero di ore impiegate per creare l’intera Wikipedia (ogni articolo in ogni lingua) è pari a 100 milioni di ore. 3 miliardi rappresenta quindi una quantità straordinaria di energia; pensiamo al valore economico, al capitale creativo insito in questo dato.
Non solo: i giovani stanno crescendo con un “cervello da gamer”. L’occidentale medio con una forte cultura di gioco avrà trascorso entro i 21 anni di vita 10,000 ore davanti a un videogame. Per la maggior parte dei bambini, questo è lo stesso tempo speso a scuola tra i 9 e i 18 anni, quasi una sorta di “seconda educazione” parallela, grazie alla quale impariamo nuovi modi per risolvere problemi, per superare ostacoli e per mettere in atto la nostra creatività.
All’Institute For The Future siamo soliti dire che per prevedere il futuro è necessario guardare indietro almeno il doppio di quanto vogliamo guardare avanti. Questo perché molte cose possono cambiare (la tecnologia, la politica, perfino il clima) ma alcuni bisogni umani restano invariati: il nostro desiderio di prenderci cura dei nostri cari, di formare comunità, di condurre una vita che sia “meaningful”, e i giochi hanno avuto un ruolo importante in questo senso per migliaia di anni. Non si tratta quindi di un nuovo “trend”; è parte di ciò che ci rende umani. Una possibile definizione dei giochi è quella di “ostacoli non indispensabili che scegliamo volontariamente di affrontare”. Pensiamo al golf, per esempio: se il nostro scopo nella “vita reale” fosse di portare in buca una pallina, come cercheremmo di raggiungerlo? Prenderemmo la pallina, cammineremmo fino alla buca e ce la infileremmo dentro. Ma per qualche ragione, trattandosi di un gioco, scegliamo invece di farlo colpendo la palla con una mazza da molto lontano. Perché?! Perché accettare questi “ostacoli non indispensabili” tra noi e il nostro scopo scatena la nostra creatività e la nostra curiosità: saremo capaci di farlo? E come? E quale sarà il modo migliore per riuscirci? Questo ci dà la possibilità di imparare via via a padroneggiare nuovi linguaggi e nuove abilità, soddisfacendo così il nostro umano istinto a migliorarci.
Giocare, insomma, non significa tanto “easy fun” quanto, piuttosto, “hard work”. Un giocatore vuole essere sfidato, sapersi produttivo, sentire che ha speso bene il proprio tempo. Non a caso, secondo una ricerca, un giocatore trascorre l’80% del tempo di gioco fallendo: non terminando un livello, non portando a compimento una missione, non raccogliendo un power- up… 80%: un livello di resilienza straordinario. È ciò che chiamiamo “eustress”, o stress positivo: quello stato di eccitazione, di motivazione, di concentrazione in grado di migliorare le nostre performance.
Questo stato è caratterizzato da quattro abilità fondamentali: un senso di “urgenza” ottimistica, che ci fa percepire il fatto che stiamo facendo “qualcosa di grande”; la capacità di tessere “social fabrics”, ovvero reti di relazioni in cui conosciamo esattamente le motivazioni e i punti di forza di ognuno; un’alta produttività, che tiene attivo il nostro engagement nonostante i “fallimenti” grazie a un continuo feedback positivo; e un senso di “epic meaning”, di avventura collettiva e collaborativa che realizza il nostro desiderio di far parte di una comunità su larga scala. Ed è la combinazione di queste abilità che produce quelli che chiamiamo “super-empowered hopeful individuals”: persone che sentono di avere la capacità di cambiare il mondo, in meglio.