I valori non si comprano

People I valori non si comprano

Percorsi comuni tra persona e impresa per trovare un punto d'incontro.

sintesi

Nel corso delle mie esperienze professionali ho vissuto molto da vicino diverse integrazioni aziendali a seguito di acquisizioni e fusioni. C’è una cosa che ho imparato: si può acquistare un’azienda, certo, ma non i suoi Clienti, né tanto meno le sue Persone. E chi non tiene conto di questo, distrugge gran parte del valore che pensa di acquistare. I Clienti hanno scelto un fornitore, ed è un po’ come sposare una persona e trovarsene in casa un’altra, che non si è scelta. Le Persone dell’azienda sono cresciute con certi valori, in cui si riconoscono, e improvvisamente si trovano a doverne mettere in pratica altri, spesso spiegati con slogan che non sono mai tradotti in concreti modi di agire. Le Persone, dunque, non si comprano. Né i loro valori. Si “compra”, al massimo, la possibilità di presentare loro un sogno, un progetto, un’occasione per realizzare le loro qualità potenziali. Ma c’è un solo modo per riuscirci: esplicitare questo sogno, questo progetto, così che le Persone possano davvero riconoscervisi. Non solo: le qualità che le Persone porteranno per realizzarlo devono essere qualità “organiche” rispetto alla società, devono essere diffuse, comprese, condivise. Troppo spesso vedo organizzazioni – chiuse nelle loro certezze e nella loro vision – non preoccuparsi di capire se le Persone siano effettivamente messe in grado di agire in sintonia con esse e in convergenza tra di loro. Credo, insomma, che uno dei principali compiti di un Amministratore Delegato, anche nella vita normale di un’azienda, fuori dal caso stressante delle acquisizioni, sia di rendere la vision (posto che sia elaborata correttamente, e in questo senso una condivisione “a monte” aiuta) comprensibile e “agibile” dalle persone che la vivono. E questo è possibile solo lavorando a fianco delle Persone, riconducendo la loro vita (professionale e, prima ancora, privata) a una dimensione sostenibile, affrontando insieme le loro difficoltà e valorizzando il loro potenziale. È così che migliora la possibilità dell’Impresa di raggiungere i propri obiettivi e di creare valore. È così che migliora la possibilità delle Persone di riconoscersi in un mondo del lavoro altrimenti sempre più complesso, estraneo e irrazionale nel senso matematico del termine: ovvero non riconducibile a rapporti comprensibili. Pensiamo, per esempio, ai giovani alle loro prime esperienze lavorative. Vedo molti giovani affrontarle come “in apnea”: come se avessero da una parte una loro vita privata con le sue difficoltà, e poi, altrove, la necessità di lavorare in posti che non hanno alcun rapporto con i loro sogni, che restano così incommensurabili, “irrazionali” appunto. Un rapporto con il lavoro di questo genere – del tutto privo di una spiegazione dei veri “perché” – non è sostenibile. Le aziende non hanno aggiornato il loro modo di porsi di fronte ai giovani. E per questo non li ritrovano più, accusandoli di essere spenti e poco entusiasti. In quella fase di ricerca di un percorso che oggi non presenta modelli evidenti, e che quindi richiede più tempo e più sperimentazione, il lavoro è un fastidioso insieme di risposte già date a domande ancora da formulare. La domanda che mi sento di rilanciare per incamminarci verso una vera “human (r)evolution” è, dunque, questa: come recuperare la possibilità di un percorso comune e interessante per le Persone e per le Imprese, insieme?