Verso una comunità di destino

People Verso una comunità di destino

Come rimettere l'uomo al centro dei nostri rapporti.

sintesi

Il nostro Presidente Carlo Petrini dice sempre: le giacche o le mutande che compro saranno sempre “fuori di me”, il cibo che io mangio, invece, diventa me stesso. Fin dal principio, Slow Food ha quindi lavorato su un unico semplice concetto: una nuova centralità del cibo. La nostra società, nel tempo, ha via via considerato il cibo sempre più come mero “carburante” e sempre meno come un elemento capace di costruire identità. Il nostro tentativo (tuttora in corso) è stato allora quello di restituire alle persone il senso preciso delle proprie scelte e dei propri stili alimentari. Scelte e stili altrimenti a rischio di essere esclusivamente imposti dall’esterno, senza la possibilità di coglierne le conseguenze in termini di modelli di produzione, distribuzione, consumo. L’errore che, come associazione, abbiamo commesso in una prima fase è stato quello di cercare la risposta a questo problema circoscrivendolo all’interno di un recinto elitario legato al concetto di piacere gastronomico, laddove oggi, invece, parlare di alimentazione vuol dire ben altro. Vuol dire parlare di scienza, di ecologia, di terra, di diritto identitario delle persone, di atteggiamento olistico. In una parola: di complessità. Il momento in cui siamo cresciuti e abbiamo raggiunto dimensioni internazionali è stato quindi quello in cui abbiamo messo a fuoco due aspetti fondamentali: un rapporto corretto e dignitoso con la terra e con le persone che ci danno il cibo (i presunti “ultimi”) e l’attenzione per le comunità. Perché le scelte che una comunità fa in termini di produzione del cibo determinano sempre conseguenze, molteplici e interconnesse. Due considerazioni alla luce di questa mia esperienza. La prima: non è più concepibile né possibile che ognuno di noi possa risolvere i propri problemi in solitudine. Per uscire dalla condizione di crisi entropica in cui viviamo occorrono nuove soluzioni, nuovi paradigmi, nuove culture sulle quali interrogarci. Dobbiamo tornare a essere e a considerarci una comunità di destino. Non solo persone che collaborano tra loro – quale che sia l’ambito di riferimento – ma un vero e proprio ecosistema organico unito da un destino comune. La seconda: dobbiamo costruire un nuovo umanesimo. Rimettere l’Uomo al centro dei nostri rapporti, recuperarne tutti gli elementi basilari. E il cibo è solo uno di questi. Se non avremo il coraggio di fare questo passo indietro (per farne due avanti), difficilmente usciremo da una logica tecnico-specialistica sempre più compartimentata, bloccata, inceppata. Oggi non abbiamo bisogno di specialisti; abbiamo bisogno di persone capaci di leggere la realtà a 360°. È ciò che Slow Food ha cercato di fare nel mondo del cibo, rompendo gli steccati della gastronomia elitaria, sostituendo all’idea del “consumatore” quella del “co-produttore”, aprendosi alle conseguenze culturali, ambientali, sociali ed etiche delle nostre scelte di alimentazione. Ma è un nuovo livello di attenzione ecosistemica – difficile, complicato, faticoso da raggiungere – al quale tutti possiamo, dobbiamo aspirare.